
10 dicembre 1948 – Dichiarazione universale dei diritti umani
Dicembre 10, 2025
Comunicato da Coalit
Dicembre 15, 2025La situazione delle carceri italiane rappresenta da molti anni una delle questioni più delicate e complesse del sistema pubblico. Le carceri non sono soltanto luoghi di detenzione: sono lo specchio del rapporto fra Stato, giustizia e dignità umana. Osservarne le criticità significa interrogarsi sul modo in cui una società interpreta il concetto di pena, di responsabilità e di reinserimento.
Uno dei problemi più evidenti è il sovraffollamento. In molte strutture il numero dei detenuti supera la capienza regolamentare, con celle condivise da più persone, spazi ridotti e tempi limitati per le attività all’aperto. Questo crea condizioni che spesso compromettono il benessere fisico e psicologico dei detenuti e mettono in difficoltà il personale penitenziario.
Il sovraffollamento non è soltanto una questione logistica: è un indicatore di un sistema penale che tende ancora troppo alla custodia e troppo poco alle misure alternative (per non citare uno Stato che ben poco si impegna sul fronte della prevenzione del crimine).
Quando si parla di carceri, non si può non parlare di salute mentale che oggi rappresenta una delle sfide più difficili: il carcere ospita un numero elevatissimo di persone con disturbi psichici, dipendenze o fragilità personali. La chiusura degli OPG (ospedali psichiatrici giudiziari) ha segnato un passo importante, ma le REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) non sono sufficienti a colmare i bisogni. Il risultato è che molte persone con sofferenze gravi finiscono in istituti che non sono attrezzati per rispondere alle loro necessità.
Parlare di carcere significa parlare anche di chi ogni giorno ci lavora: agenti penitenziari, educatori, psicologi, assistenti sociali, mediatori culturali, insegnanti, volontari. Sono figure spesso invisibili all’opinione pubblica, ma fondamentali per il funzionamento dell’intero sistema.
Il personale penitenziario opera in condizioni spesso difficili, segnate da turni pesanti, organici insufficienti e un carico emotivo elevato. Gli agenti si trovano a mediare continuamente tra sicurezza e umanità, mentre educatori e professionisti dell’area trattamentale cercano di promuovere percorsi di recupero in contesti che non sempre lo rendono possibile. Nonostante le difficoltà, molti operatori svolgono il loro ruolo con dedizione, contribuendo a creare quei rari ma preziosi spazi di dialogo e cambiamento.
Riconoscere il valore del loro lavoro non è solo un atto di giustizia, ma un passo necessario per migliorare l’intero sistema penitenziario: senza un personale motivato, formato e adeguatamente sostenuto, nessuna riforma può davvero funzionare.
Un altro argomento molto importante riguarda la funzione rieducativa della pena. L’art. 27 della Costituzione stabilisce che la pena non può essere “contraria al senso di umanità” e deve tendere al reinserimento sociale. Tuttavia, la distanza tra il principio e la realtà è spesso ampia.
In molte carceri i percorsi formativi, lavorativi o educativi sono troppo limitati o discontinui, o addirittura inesistenti. Eppure, quando tali percorsi funzionano – laboratori professionali, scuola in carcere, collaborazione con associazioni del territorio – si osserva un netto calo della recidiva.
Questi esempi dimostrano che punire non basta: serve accompagnare il detenuto verso una vita diversa.
La detenzione – in un sistema giusto – ha senso solo se mira alla rieducazione, al reinserimento sociale, al rispetto dei diritti fondamentali. Quando la pena diventa disumana, l’obiettivo originario si traduce in ingiustizia.
Le carceri italiane sono luoghi in cui convivono dolore, speranza, fallimenti istituzionali e tentativi coraggiosi di cambiamento. Migliorare le condizioni nelle carceri significa riconoscere la dignità della persona umana, perché una società matura non si limita a punire: si impegna a ricostruire, offrendo a chi ha sbagliato la possibilità concreta di non sbagliare più.
Il Direttivo Coalit




1 Comment
Il carcere serve ad espiare la pena attraverso la privazione della libertà, ma va ricordato che la nostra Costituzione stabilisce chiaramente che le pene non possono mai essere disumane e devono sempre tendere alla rieducazione del condannato, promuovendo il reinserimento sociale, un obiettivo spesso difficile da raggiungere nelle carceri italiane a causa di sovraffollamento e condizioni che talvolta peggiorano la situazione.
Grazie per il vostro lavoro!